La storia del Cotonificio Legler torna alla comunità

Grazie al contributo della Fondazione della Comunità Bergamasca è stato avviato il progetto di restauro e conservazione dell’archivio di prodotto del Cotonificio Legler di Ponte San Pietro.

Givenchy, Pierre Cardin, Fiorucci, Benetton. Sono solo alcuni dei grandi nomi della moda internazionale con cui il Cotonificio Legler di Ponte San Pietro collabora nel Novecento. Una storia nata nella primavera del 1877, quando entra in funzione lo stabilimento con 200 telai, 6.000 fusi e 200 operai impiegati nei reparti di filatura e tessitura. È la famiglia Legler, originaria di Diesbach (nella parte meridionale del cantone svizzero di Glarus), unitamente al socio e finanziatore Jakob Becker-Hefti, che avvia i lavori per un’azienda che, in un primo momento, produce tele grezze. La Bergamasca è il luogo prescelto: ha corsi d’acqua, personale (in particolare, donne) ed è vicina a Milano.

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Dalle tele grezze alle sfilate a Palazzo Pitti.

Gli anni Novanta del 1800 segnano un momento di crescita per l’impresa, che amplia la produzione fino a comprendere, prima, tessuti tinti e candeggiati, poi velluti. Arrivano gli anni Cinquanta del Novecento con le grandi collaborazioni con gli stilisti dell’alta moda, benché i Legler non producessero abiti, ma solo tessuti, con la partecipazione alle sfilate di Giovanni Battista Giorgini, padre del made in Italy, che per primo organizzò una sfilata di alta moda italiana a Palazzo Pitti, a Firenze.

Dopo la conversione al denim, che fino a quel momento è produzione esclusiva di fornitori americani, a metà degli anni Settanta l’azienda detiene il 25% della produzione europea ed è interlocutore privilegiato di aziende, quali Carrera, Fiorucci, Benetton. E proprio per produrre il tessuto dei blue-jeans, la Legler acquista Crespi d’Adda, con cui condivide anche un capitolo della storia operaia dei primi anni del Ventesimo secolo: la famiglia Legler dispone la costruzione del primo nucleo di case operaie, l’apertura della scuola svizzera di Ponte San Pietro e, nel 1901, incentiva la nascita della Cooperativa di consumo omonima, diventando presto un punto di riferimento sul piano cooperativistico nazionale.

Alla fine degli anni Ottanta, dopo i primi segnali di crisi, la decisione di cedere l’azienda al gruppo Polli. Dal 1995 la famiglia Legler esce definitivamente dall’impresa.

Un archivio parlante.

Quella del Cotonificio Legler è una storia che attraversa due secoli, e lo fa parlando di costume, moda, società, lavoro. Una storia che rischiava di rimanere chiusa nei cassetti, se la Fondazione Legler per la Storia Economica e Sociale di Bergamo non avesse deciso di trasformare un archivio in una testimonianza parlante, come spiega Lavinia Parziale, Responsabile Archivi e coordinatrice di tutti i progetti della Fondazione, che spiega il progetto di restauro e conservazione dell’archivio storico di prodotto (cioè di campioni di tessuto) del Cotonificio Legler di Ponte San Pietro: “Il problema degli archivi è quello di pensare che siano morti. In realtà sono vivi e devono essere conosciuti e accessibili. Devono essere ‘comunicati’ e, soprattutto, devono essere restituiti alla comunità, perché raccontano la storia di un’impresa che è stata importante per il territorio, anche se ora non c’è più, e che ha contribuito alla crescita dell’identità locale”.

Obiettivo del progetto, che fruisce del contributo della Fondazione della Comunità Bergamasca, è quello di recuperare e salvaguardare la conservazione di una parte dell’ampio patrimonio tessile storico – si parte da un primo nucleo di 400-500 campioni, con le relative schede tecniche di tessitura – prodotto durante l’attività del Cotonificio Legler dal secondo decennio del Novecento alla fine degli anni Cinquanta. Un intervento, diretto dalla restauratrice Marzia Crocco, reso urgente dal cattivo stato di conservazione dei campioni tessili, che ha determinato una forte disidratazione delle fibre e l’alterazione della struttura dei coloranti, con un processo di fotossidazione. A mano a mano che i tessuti verranno restaurati, saranno posti in supporti idonei alla loro corretta conservazione e valorizzazione.

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Il coinvolgimento del mondo della scuola. “Tutto l’intervento di restauro sarà documentato con un attento rilievo fotografico dei singoli manufatti e permetterà, inoltre, la creazione di un archivio digitale dei tessuti prodotti dall’ex Cotonificio Legler, consentendo la fruizione online – tramite il sito web e varie mostre digitali – del materiale presente nell’archivio storico ad addetti del settore, studiosi, ma anche persone comuni, in particolare della comunità locale”, continua Parziale. L’archivio digitale consentirà anche di tramandare, soprattutto alle nuove generazioni, conoscenze tecniche, storiche ed economiche. Nel farlo, si farà aiutare proprio da loro, dai giovani. Per la realizzazione del progetto, studenti dell’ITS Afol Moda di Milano, partecipanti al corso di “Atelier del Restauro Tessile”, dedicheranno circa 200 ore di tirocinio, sotto la guida della docente e restauratrice Cinzia Oliva.

Sabato 19 novembre, presso la Fondazione Legler per la Storia Economica e Sociale di Bergamo, in occasione della Settimana della Cultura d’impresa di Confindustria – che quest’anno è dedicata alla scuola d’impresa – sarà presentato il progetto di restauro con un focus sul contributo di questi giovani che si stanno formando per diventare restauratori tessili e che, metaforicamente, si fanno così non solo custodi degli intrecci dei tessuti, ma anche custodi di una storia di comunità, come evidenzia Osvaldo Ranica, Presidente della Fondazione della Comunità Bergamasca:

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La Fondazione della Comunità Bergamasca promuove iniziative e progetti volte al benessere delle persone. Quel benessere che viene soddisfatto non solo con l’attenzione a bisogni sociali e materiali, ma anche con e attraverso la promozione della cultura. Questo progetto, in particolare, protegge un patrimonio meritevole di salvaguardia, perché racconta una storia importante alle nuove generazioni e perché permette di conservare qualcosa che, se rimanessimo inerti, andrebbe perduto. È una grande responsabilità quella di farsi custodi del passato, perché permette a chi non l’ha vissuto di farne parte e di diventarne testimone.

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