Quando l’incontro col genitore detenuto aiuta i legami familiari

Lo Spazio Giallo nel carcere di Bergamo è un progetto dell’associazione ‘Bambinisenzasbarre’, finanziato dalla Fondazione della Comunità Bergamasca – Il Presidente Ranica: “Un richiamo alla corresponsabilità sociale”.

“Basta un disegno, un colore, un tavolo alla sua altezza e il bambino capisce. Sente che quel luogo estraneo non lo è completamente e si accorge che altri bambini ci passano. Nel tempo, si dirige spontaneamente verso quell’ambiente, perché sa che esiste”. Lia Sacerdote è presidente dell’associazione ‘Bambinisenzasbarre’, che da vent’anni si prende cura delle relazioni familiari tra minori e genitori detenuti con interventi ed iniziative che interessano il ‘dentro’ e il ‘fuori’ dal carcere, spaziando (solo per citarne alcuni) dalla formazione della Polizia Penitenziaria al Telefono Giallo (consulenza telefonica per famiglie e operatori), dai gruppi di parola dedicati alle madri e ai padri detenuti al monitoraggio dell’applicazione della Convenzione dei Diritti dell’Infanzia e Adolescenza.

L’ambiente descritto dalle parole della Presidente è quello dello Spazio Giallo nel carcere di Bergamo (18 in tutta Italia, da nord a sud), presente anche grazie al contributo della Fondazione della Comunità Bergamasca. Qui il bambino, il preadolescente e l’adolescente incontrano operatori specializzati, che con professionalità li accompagnano nel ‘prima’ e nel ‘dopo incontro’ con il papà detenuto (nella maggior parte dei casi), allo stesso tempo intercettando le fragilità del nucleo familiare e offrendo consulenza alle madri libere.

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Su un aspetto occorre fare chiarezza: “Noi non intratteniamo i bambini e i ragazzi. C’è quest’idea di dover distrarli, in realtà in questi momenti hanno tanto bisogno di silenzio. Quando stanno per entrare, sono in ansia e molto nervosi. Hanno bisogno di essere accolti e contenuti. Il nostro Spazio è un luogo di preparazione all’incontro con il genitore detenuto, dove far decantare le conseguenze emotive della separazione dopo il colloquio. Mi capita di vedere le madri che ‘portano’ i figli dentro e fuori dalla stanza dei colloqui, trascinandoli via. Ma ci sono bambini che vogliono fermarsi ancora un po’, devono prepararsi ad uscire, nella loro testa sono ancora con i loro papà e nello Spazio Giallo trovano un luogo di compensazione. Noi non facciamo domande, anche questa è una forma di rispetto. Non mi dimenticherò mai di quel ragazzo che aveva la mamma in carcere e, dopo averla incontrata, era come se fosse tornato piccolo”. Il pensiero di avere un genitore in un ambiente che non si conosce, che non si può visitare, di cui si parla con difficoltà, blocca.

È un dato ormai consolidato che il 30% dei figli di genitori in carcere è destinato a ripetere l’esperienza detentiva del genitore: in tal senso gli adolescenti sono il gruppo più vulnerabile e maggiormente a rischio di dispersione scolastica e di comportamenti devianti. Lo Spazio Giallo si pone, dunque, come intervento di prevenzione sociale e di contrasto alla povertà educativa. Possiamo immaginare la ricaduta di una detenzione su una famiglia, “prigioniera quanto la persona che è detenuta, se non di più, senza la possibilità di condividere le proprie preoccupazioni sul territorio”. Ma c’è dell’altro. Se l’incontro col carcere passa attraverso un’esperienza di rispetto della persona e dei suoi diritti umani, può diventare per il bambino un incontro con la legalità. “In quel momento, l’istituzione-carcere è lo Stato. Come associazione, crediamo che sia una falsa protezione quella di non portare in carcere i bambini. La lontananza dal genitore detenuto rischia di incatenare il figlio, identificandolo al suo mito (il papà), mentre i colloqui regolari sono uno strumento di protezione, che non consentiranno a quel bambino di diventare un soggetto a rischio”, coltivando il rapporto col genitore, ma scegliendo stili di vita differenti, in una relazione che privilegia solo gli aspetti affettivi, che prescindono dal reato commesso dal genitore.

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“Io dico sempre, anche agli agenti di polizia penitenziaria che hanno un ruolo cruciale, che abbiamo sempre un bambino che ci osserva in tutte le cose che facciamo. Che vede, che sente, anche se noi non ce ne accorgiamo. Ecco, se noi facessimo nostro questo principio sempre, forse ogni giorno saremmo più attenti ovunque e, anche tra adulti, ci tratteremmo con rispetto”, continua la presidente Sacerdote.

In questo spazio di parola, in cui ci si prende la libertà e il tempo anche solo di guardarsi negli occhi senza dire nulla, in cui si prova a ricucire lentamente i fili strappati di un rapporto, riecheggia la potenza della mediazione penale e dell’autorevole voce in materia di giustizia riparativa di Jacqueline Morineau, un modello per Sacerdote. “In carcere è possibile assicurare il rispetto dei diritti del bambino e di quelli dell’adulto, ed è nel coniugare i diritti di entrambi che accade qualcosa”, ancora Sacerdote, ricordando che nel 2021 è stata rinnovata la Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti (per 4 anni), il Protocollo d’intesa nazionale – sottoscritto dal Ministero della Giustizia, dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e da Bambinisenzasbarre – che è il primo documento in Europa che riconosce formalmente i bisogni di questo gruppo vulnerabile di bambini, trasformandoli in diritti.

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Lo Spazio Giallo è un forte richiamo alla corresponsabilità sociale ed è l’occasione per allargare lo sguardo e comprendervi le famiglie delle detenute e dei detenuti: i figli, i coniugi, i genitori, che non devono essere ingiustamente discriminati per qualcosa che non hanno commesso. Sappiamo che il tema del carcere genera qualche resistenza, ma possiamo cominciare a cambiare la nostra prospettiva dalla cura delle relazioni e dai diritti dei più piccoli.

 

Osvaldo Ranica, Presidente della Fondazione della Comunità Bergamasca,

 

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